ENZO FABRUCCI

Paolo Pompei
L’opera di Paolo Pompei mi sembra una sorta di vasta traversata dei territori dell’arte, per
la capacità che egli ha di contrassegnare col suo stile superfici piane, sculture e oggetti
piccoli e grandi.
Tutto, sotto le sue mani, diventa oggetto d’arte ed è notevole la quantità di opere che è in
grado di produrre. In ogni sua opera Paolo depone un segno, un simbolo, una traccia del
suo linguaggio che solo all’apparenza è semplice.
Nel suo studio, in un bellissimo mulino, ho visto ammassate alla rinfusa clessidre, sfere,
cubi e altri misteriosi oggetti che egli va modellando con grande cura e che poi espone sia
nel nostro Montefeltro che lontano da qui.
Mi piacciono le opere che recano nella forma la traccia di una sapienza artigianale e le
tecniche che sanno di magico, di fronte a un’arte come quella attuale che mi appare o
troppo concettuale, e quindi gratuitamente complicata o manierista, e quindi noiosa.
Le opere di Paolo mi colpiscono perchè avverto in esse il senso del suo lavoro, di un pensiero
creativo che non si ferma mai e che rimane infuso nei metalli che usa, che transita
attraverso le sue mani e poi si coglie, se s’osserva attentamente, come un alone che li
attornia.
L’arte che mi appassiona, e che ritengo necessaria in quest’epoca, è quella che s’interroga
sul senso delle nostre radici; e che lo fa in aperto contrasto con un desiderio di attualità
che, ho notato, non porta a niente.
Se il prodotto della filosofia della modernità è il mondo che ci troviamo attorno, allora in
quella filosofia dev’esservi qualche errore. Le nostre città semi-invivibili, la mancanza di un
futuro accettabile, le crisi ormai costanti della macroeconomia, ci spingono a pensare che
il concetto di progresso va rivisto fin nei suoi fondamenti.
Per questo mi convince un’opera come quella di Pompei, perchè nasce in periferia, nasce
in un territorio appartato e silenzioso come il Montefeltro, e qui trova il tempo necessario e
il necessario silenzio per interrogarsi sul fondamentale bisogno di immergerci nella natura
al fine di capire chi siamo e cosa ci serve davvero.
Nelle sculture di questo autore a me pare di trovare segni e stilemi che si possono accostare
a quelli dell’arte primitiva, quella dei popoli senza scrittura, che è, essenzialmente, un
dialogo col sacro e coi misteri della storia e della natura: l’unico dialogo che può permetterci
di non finire schiacciati dalla banalità del pensiero contemporaneo che vive succube
dell’economia e delle sue leggi miopi, disumane. Leggi che non sanno contemplare il
concetto di anima del mondo.

di Enzo Fabrucci
Pittore, Scrittore
e fondatore di Accademia Tages,
un gruppo di studio che raccoglie artisti e pensatori e
lavora attorno al tema dei miti dell’Appennino e alle
leggende dell’Italia antica.

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